“[…] Qualsiasi forma di empatia verso gli animali d’allevamento è secondaria rispetto ai bisogni umani —e questi bisogni si rivelano in gran parte finanziari. Il consiglio dato agli allevatori di proteggere i loro animali da malattie e disabilità è quasi sempre motivato dal profitto, e questi profitti e perdite possono essere enormi. […] Possiamo ancora trovare parallelismi con le situazioni umane, per esempio in contesti di salute pubblica dove si parla di disabilità in termini del loro costo per l’industria o la società. In un video informativo che ho trovato riguardo a cosa fare con gli animali nati con disabilità come ad esempio cecità congenita, “ermafroditismo” o artrogriposi (la mia stessa disabilità), non ci sono giri di parole: il consiglio è quello di “distruggerli” prima che contaminino il tuo pool genetico e danneggino i tuoi profitti”. (Taylor, 2020)
In foto: Misa.
Misa è approdata ad Ippoasi e qui non dovrà più preoccuparsi di essere considerata come un corpo non-produttivo da scartare ed eliminare.
Al di fuori dei cancelli del Rifugio, gli animali come Misa, Sogno e Alfred sono soggetti ad una doppia discriminazione: in quanto animali non umani e in quanto animali disabili.
Le convinzioni e i pregiudizi che l’uomo ha nei confronti dei corpi disabili sono talmente radicati che questo abilismo viene inevitabilmente proiettato anche sugli animali non umani. Stiamo parlando, per esempio, della narrativa intrisa di pietismo che porta ad equiparare la disabilità alla sofferenza o alla concezione antropocentrica per cui gli animali in questione siano necessariamente passivi e “senza voce”.
In Misa, noi non vediamo nulla di tutto ciò. Vediamo una pecora autodeterminata e che ha saputo ricavarsi una propria posizione sociale all’interno del Rifugio.
Come abbiamo sempre fatto con gli altri animali disabili che hanno abitato ad Ippoasi, fra cui il maialone Alfred o la capra Sogno, ogni giorno facciamo del nostro meglio per migliorarne la qualità di vita, rimuovendo o aggirando ogni possibile barriera che li separi dal vivere una vita ricca e felice.
Nella seconda slide: il retro di un pamphlet risalente agli anni ‘40 o ‘50, realizzato dall’azienda Swift & Company (ora JBS), in cui si invitano i dipendenti a non usare eccessiva violenza sugli animali, per evitare di intaccare la qualità della carne.
Oltre alla grottesca rappresentazione antropomorfizzata degli animali, si può notare la completa desensibilizzazione e deresponsabilizzazione dei rappresentanti dell’industria della carne: in questo settore la disabilità è in realtà ingegnerizzata dalla nascita attraverso modifiche genetiche (vedi i polletti broiler) oppure provocata da pratiche d’allevamento intensive ma, nonostante ciò, si invita ad utilizzare cautela in nome di un fantomatico benessere animale che, come noi ben sappiamo, non esiste affatto.
Fonti: Taylor, S. (2020). Animal crips. In S. Jenkins, K. Struthers Montford, & C. Taylor, Disability and Animality: Crip Perspectives in Critical Animal Studies (p. 13-35).